Laocoonte
Periodo:
1520-1525
Committente / Collezionista:
Luogo:
Firenze, Galleria degli Uffizi
Inventario:
inv. 1914 n. 284
Marmo bianco in tre pezzi, h. max cm. 213, base originale h. cm. 120.
La scultura è copia del celebre gruppo scultoreo del Laocoonte, variamente datato fra il 120 e il 20 a. C., ora conservato nei Musei Vaticani (Museo Pio-Clementino). L’imponente scultura rappresenta Laocoonte, sacerdote di Troia, e i suoi due figli mentre vengono strangolati da serpenti marini inviati da Nettuno. L’episodio è narrato da Virgilio nell’Eneide: Laocoonte aveva ammonito i troiani a non fare entrare in città il misterioso cavallo di legno trovato fuori delle mura, provocando così la vendetta di Atena e Nettuno — gli dei protettori dei greci. Plinio il Vecchio attribuisce l’opera a tre scultori provenienti da Rodi, Agesandro, Atenodoro e Polidoro. La scultura, rinvenuta in uno straordinario scavo effettuato a Roma nei pressi di Santa Maria Maggiore il 14 gennaio 1506, venne acquistata da papa Giulio II e collocata nel cortile del Belvedere entro una nicchia dove venne ammirata e copiata da generazioni di artisti, letterati e storici, come esempio sublime d’espressione di pathos, di drammaticità e dinamismo. La copia del Bandinelli è accompagnata dal piedistallo originale che reca su fronte e sul retro l’impresa di papa Clemente VII Medici, committente dell’opera: una sfera di cristallo trasparente attraversata da un raggio di sole che la lascia illesa ma che va a colpire e incendiare un albero al di là di essa. Il motto che accompagna l’impresa è “candor illesus” (P. Giovio 1555).
Roma, Villa Medici; Firenze, Palazzo Medici, giardino o secondo cortile (dal 1525 al 1591 almeno); Casino Mediceo di san Marco; Uffizi (1671). La copia del Laocoonte fu commissionata a Baccio Bandinelli nel 1520 a Roma dal cardinale Giulio de’ Medici, poiché papa Leone X, suo cugino, voleva farne dono al re di Francia, Francesco I. Secondo il racconto del Vasari (1568), il Bandinelli lavorò a lungo alla sua opera, prima realizzando un modello a cera e uno studio su cartone e poi procedendo a scolpire i marmi. Realizzò innanzitutto le figure dei figli, poi passò a quella di Laocoonte. Quando morì Leone X il 1° dicembre del 1521, il Bandinelli abbandonò l’opera per tornare a Firenze insieme al suo protettore, il cardinale Giulio. Di lì a poco, morto il successore sul soglio pontificio, Adriano VI, ed eletto lo stesso Giulio de’ Medici col nome di Clemente VII (18 novembre 1523), lo scultore tornò a Roma, dove concluse la scultura in due anni, cioè nel 1525. Con l’occasione Baccio integrò la scultura antica realizzando in cera il braccio sollevato a sinistra, mancante, che servì da modello per la traduzione scultorea. A quel punto, papa Clemente VII cambiò idea e inviò il monumentale marmo del Bandinelli a Firenze per essere collocato nel giardino o secondo cortile di Palazzo Medici, nell’ambito di una generale riorganizzazione degli interni e della ricollocazione di importanti sculture negli ambienti di rappresentanza al piano terreno, iniziata con il rientro dei Medici dall’esilio nel 1512. L’opera andava infatti a sostituire la Giuditta di Donatello, rimasta fra i beni medicei sequestrati dalla Repubblica trattenuti in Palazzo della Signoria anche dopo il rientro dei Medici. Pochi anni prima lo stesso Bandinelli aveva realizzato l’Orfeo collocato nel cortile al posto del David bronzeo di Donatello. Come la Giuditta, così anche il Laocoonte presentava un soggetto legato al tema della punizione divina. Inoltre, il grande marmo dominava la parte settentrionale del giardino, come il bronzo donatelliano, ma stava contro la parete di fondo anziché al centro dell’area. Antonio da Sangallo il Vecchio, in un progetto di ristrutturazione del secondo cortile approntato nel 1524-1525 ma mai realizzato, immaginò di inquadrare il Marsia restaurato da Mino da Fiesole e il Laooconte del Bandinelli entro un alzato architettonicoa nicchie. L’idea del Sangallo è deducibile da due fogli, entrambi appartenenti al cosiddetto Codice Geymüller e rispettivamente ora ubicati nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. n. A7818v = Codice Geymüller, c. 27v) e all’Albertina di Vienna (inv. 48v, dal Codice Geymüller degli Uffizi) (cfr. Caglioti 2000, p. 354 e fig. 306). Tale allestimento probabilmente traeva ispirazione da quello del cortile del Belvedere nei Palazzi Vaticani, dove il Laocoonte originale era ubicato, proprio entro una nicchia. Il Laocoonte, trasferito al Casino di San Marco con la vendita del palazzo ai Riccardi (1659), entrò negli Uffizi con l’eredità del cardinale Carlo de’ Medici e fin da allora venne posto nell’ubicazione attuale, in fondo al corridoio di ponente. Ha sempre conservato il piedistallo originale, presente tuttora, recante fino al settecento un’iscrizione andata perduta. Nel 1762 l’opera rimase danneggiata in occasione dell’incendio che colpì quel tratto di galleria e fu colpito dalla cancellata della terrazza sulla Loggia dei Lanzi. Al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, relativamente al Laooconte agli Uffizi, si conservano due disegni di Baccio Bandinelli (nn. 14784F, 14785F) e un’incisione dell’Arrighetti della seconda metà del Settecento.
- Laocoonte: alle origini dei Musei Vaticani, catalogo della mostra (Città del Vaticano), a cura di F. Buranelli, P. Liverani, A. Nesselrath, Roma, L’Erma di Bretschineider, 2006.